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bryan
Lui è Brian, 8 anni. Gira lungo le spiagge di Puerto Morelos nello stato del Quintana Roo in Messico vendendo pupazzi e braccialetti di stoffa insieme al fratello gemello e alla mamma.
Ha un viso dolcissimo e gli occhi di un nero intenso. Non puoi non comprargli qualcosa perché ti tocca subito il cuore appena lo vedi arrivare da lontano, lui piccolino sotto il sole cocente dei tropici carico dei suoi oggetti da vendere. Poi pensi che lui ha 8 anni e tuo figlio 9. Non ci provi neanche a chiedergli lo sconto perché gli daresti ben più di quei 200 pesos (10 euro) che chiede per un pupazzetto. La tua vita e la sua si incrociano lì sotto l’ombrellone del tavolino dove stai sorseggiando una bibita fresca. Bastano pochi minuti per fare nascere in te decine di pensieri contrastanti. Da un lato pensi che non ci sia nulla di male a fare un lavoretto estivo per guadagnare qualche soldino. Sempre meglio che essere parcheggiato a casa da solo davanti alla televisione aspettando mamma e papà che tornano a casa. Quei soldi che guadagnano permettono a Brian e alle sua famiglia di vivere o meglio di sopravvivere. Sì perché non dimentichiamo che qui in Messico la povertà ha percentuali decisamente molto alte. Soprattutto Brian sta comunque lavorando e imparando che serve faticare per guadagnarsi da vivere. Sempre meglio quello che la droga o la prostituzione. Ma Brian ha 8 anni. A quell’età i bambini dovrebbero pensare a giocare, studiare e basta. Molto probabilmente Brian non va neppure a scuola così come quasi la metà della bambini della sua età. Mano a mano che i pensieri si accavallano nella mia testa mi rendo conto che giudicare è fin troppo facile. Da ogni lato si guardi la situazione ci sono valutazioni contrastanti. Ma non voglio giudicare Brian e la vita che fa. Mi domando se Brian sia sfruttato o se sia consapevole di ciò che fa? Subito mi balza in mente un paragone forte ma altrettanto delicato. Una fashion blogger da milioni di followers da quando ha avuto il figlio non fa che usare la sua immagine per accumulare likes e commenti perché ovviamente la candida faccina del bimbo è una enorme fonte di social engagement. Non è forse la stessa forma di sfruttamento? Ma anche in questo caso le speculazioni polemiche potrebbero moltiplicarsi all’infinito. Quello di cui mi rendo conto è che c’è poca protezione per i bambini. L’uso dell’immagine dei bambini è poco tutelata, per non dire per niente, che si tratti di una povera famiglia messicana o di una agiata coppia di influencers.
Nel nostro piccolo lo facciamo spesso anche noi pubblicando le foto con i nostri figli. Il fine è sempre quello che si tratti di spiccioli per mangiare, numeri per vendere pubblicità o likes per il proprio compiacimento. Forse servirebbero globalmente regole più severe contro lo sfruttamento dei minori e della loro immagine. Forse non avrei dovuto comperare nulla da Brian per non incentivare il suo sfruttamento o forse no. Ma non cerco risposte, faccio solo riflessioni.
Una risposta me la ha data comunque Brian stesso. Qualche ora dopo lo ho incontrato nuovamente in un altro luogo. Nuovamente è venuto verso di me volendo vendermi ancora qualcosa. Mi sono meravigliato e ho cercato di dirgli che avevo già comperato ma molto probabilmente non mi ha neanche riconosciuto. Fa quel lavoro meccanicamente come un piccolo robot. Per lui sono solo un turista, uno dei tanti che incontra quotidianamente sulla spiaggia. L’incontro con Brian mi ha lasciato più amarezza che gioia anche ora mentre lo guardo qui sullo schermo con i suoi occhioni neri impenetrabili. Penso a mio figlio e alle maggiori opportunità che lui ha e avrà. Un giorno gli parlerò di Brian e ancora una volta mi rendo conto che viaggiare ti apre gli occhi.